“La terapia ottimale è senz’altro quella di ricorrere alla tecnica propria dello judo di utilizzare la resistenza dell’altro “,

 

così scrivono Paul Watzlawick e i suoi colleghi in “ Change” , libro uscito in California (Palo Alto) nel 1974 a seguito di un gruppo di ricercatori che fonderà la scuola psicoterapeutica sistemico-relazionale.

E ancora nel medesimo libro:

“Accettate ciò che il paziente vi dà … è una regola in netto contrasto con gli insegnamenti della maggior parte delle scuole psicoterapeutiche che in linea di massima mostrano di seguire queste due direttive : o si cerca di applicare meccanicamente lo stesso procedimento sui pazienti più diversi oppure si ritiene necessario anzitutto insegnare al paziente un nuovo linguaggio per farlo pensare nei termini di tale linguaggio … La ristrutturazione, invece,  presuppone che sia il terapeuta a imparare il linguaggio del paziente … in questo approccio è proprio la resistenza al cambiamento ciò che meglio si presta a provocarlo. Sotto diversi aspetti tale forma di soluzione dei problemi presenta analogie con la filosofia e la tecnica dello judo in cui alla spinta dell’avversario non viene opposta una controspinta di forza almeno pari , ma anzi si cede permettendogli di crescere in potenza e di compiere la sua parabola . Una risposta che l’avversario non si aspetta, perché sta giocando il gioco del più di prima , della forza contro la forza – e secondo le regole del suo gioco, anticipa una controspinta anziché giocare un altro gioco . La ristrutturazione … insegna un altro gioco , rendendo obsoleto il vecchio gioco".

   Spesso nella relazione d’aiuto, il rapporto tra chi è addetto alla cura e il cliente si trasforma in un duello di cui il conflitto è una delle sue componenti. Gli agiti violenti, impulsivi o reattivi senza mediazione del cliente tradiscono una fragilità che non trova forza in sé e lo/la costringe a rapinare la realtà di ciò che sente assolutamente mancargli/le. Le polarità estreme potenza-impotenza si alternano con frequenza continua senza modularsi in una via di mezzo , ma come nota Watzlawick , finchè permangono si generano solo soluzioni al proprio problema che lo mantengono (quello che chiama cambiamento1).

    Lo stesso bisogno di cambiare che duella con la resistenza al cambiamento come due nemici inconciliabili, due polarità opposte, genera cambiamenti1. Gli autori lo semplificano in “il ricorso a contrasti estremi è sempre stata la tecnica propagandistica preferita da politicanti e dittatori” per mantenere lo status quo.

    La stessa reazione del terapeuta (che in psicoanalisi chiameremmo controtransfert) di controllo e inasprimento della forza, non che della pena per la trasgressione per il cambiamento tradito dalla resistenza è sempre dentro questo gioco amico-nemico che non sortisce un vero cambiamento. Anzi il cliente trova la conferma alle sue aspettative di una controspinta in cui appoggiare un gioco di escalation di potere ( la sfida e controsfida,  muro contro muro) . “ La politica della dissuasione reciproca non implica alcuna misura per risolvere la situazione”. Quelle che Watzlawick chiama soluzioni “più di prima“ quando “ la soluzione è il problema “.

     Sullo stesso gioco secondo gli autori si colloca anche la negazione del problema , quelle che chiamano “ le semplificazioni terribili “ sia che siano intrapsichiche sia che siano sociali dell’organizzazione (il re nudo che nessuno vuole vedere). La visione del problema è impossibile perché le polarità estreme sono ancora attive e il suo apparire comporterebbe l’annientamento di sé .

    La stessa utopia idealistica di uscita definitiva dal problema è sempre un cambiamento1 che si manifesta o come evasiva intelletualizzazione, oppure come una meta troppo alta che alterna euforia a cadute tragiche, oppure ad un rinvio continuo ad agire la scelta. Oppure, ancora, a una vita di sacrificio nell’espiare una colpa che non comporta mai la salvezza, oppure è in attesa di un giudizio finale che prima o poi avverrà.

    Insomma le due polarità estreme potenza-impotenza, amico-nemico, forza-debolezza si duellano come antagonisti.

    Per uscire dal gioco delle polarità estreme quale via alla mediazione ? L’accettazione della coesistenza di entrambe nella mediazione sia da parte del cliente che da parte del terapeuta. Questo che altrove ho chiamato sostare nel conflitto, in “ Change” è la forza ristrutturante del paradosso. Stare nella contraddizione genera una crisi del gioco relazionale e uno spiazzamento delle forze in campo che permette di cambiare realmente (cambiamento2 ).

    Nel cliente accettare la debolezza come una parte di sé che tra l’altro fa parte della propria forza e quindi del sintomo non come un nemico da sconfiggere , ma casomai come un messaggio. Nel terapeuta nell’accoglienza più che del contrasto alla resistenza al cambiamento portata dal cliente: l’effetto paradosso che la docilità può generare alla violenza, può sortire un cambiamento. Il potere personale abita nella propria fragilità e nel saperla abitare , più che nell’averla sconfitta . Da duello, l’incontro diviene accoglienza.

   “Alla spinta si cede permettendogli di crescere in potenza e di compiere la sua parabola” , dandogli uno spazio esterno nella speranza che in futuro divenga anche uno spazio interno.

    Il riferimento al judo è quantomai appropriato. Taisen Deshimaru in “Lo zen e le arti marziali” ci dice che il Bushido ( bu = arti marziali; shi = guerriero ; do = via ) è la via del guerriero.  Ma la via non è solo una pratica tecnica ma anche spirituale:  nelle arti marziali shin (spirito), waza (tecnica) e tai (corpo) vanno sempre assieme. Quindi un’ arte marziale è arte della guerra e del conflitto non solo perché ci fornisce una tecnica per starci ma anche perché ci educa spiritualmente ad abitarlo.

    Sempre Deshimaru in sintonia con quanto su detto:  “ ogni combattimento … sia che si svolga dentro o fuori di noi, è sempre un combattimento contro noi stessi”  fino a quando non si scopre nel nemico parte di noi stessi da accogliere più che sconfiggere. “Non bisogna guardare il corpo dell’avversario, ma dirigere il nostro spirito. Non c’è nemico” , se non le nostre paure. “Durante un combattimento bisogna avere la stessa coscienza dell’avversario e non andare contro di lui, ma con lui, insieme a lui”.

    “Lo spirito di competizione e di potenza … è infausto … si battono per vincere, giocano alla guerra . Non c’è alcuna saggezza in tutto ciò”. L’arte del conflitto non è nella vittoria ma nell’educare il proprio spirito ad abitarlo. Questo starci significa che “ di fronte alla morte, come di fronte alla vita, la coscienza deve rimanere serena”. Tradotto in termini psicologici la ferita narcisistica è il medesimo della ferita nel combattimento e accettare , anzi accogliere la propria morte equivale ad accogliere la propria fragilità. La forza in essa sta nel non franarci dentro quanto sceglierla, deciderla:  “E bisogna decidere , accettare la propria vita come la propria morte. Non bisogna subirle”.

    “C’è bisogno di una forte educazione”  per questa docile forza e la paura?  “Si cade preda” in essa. “Chi ha paura è troppo egoista, non pensa che a sé stesso. Bisogna staccarsi da proprio ego e la paura scompare”; così Deshimaru riassume le dinamiche del narcisismo. “Bisogna … saper morire . La saggezza è questa. Se vogliamo vivere autenticamente,  dobbiamo conoscere la morte in noi stessi”.

    Ora mi pare chiaro perché il judo si mostra arrendevole alla violenza, non per una supina debolezza ma per la grande forza di saper stare di fronte all’altrui e alla propria fragilità. Questo è il motivo per cui nel judo si utilizza “la forza dell’avversario per rivolgerla contro di lui”  e sul perché nella violenza del combattimento judo significa la via (do) della dolcezza (ju) .

 

Bibliografia:

  • Paul Watzlawick, John H. Weakland, Richard Fisch “ Change” , casa editrice Astrolabio 1974.
  • Taisen Deshimaru “Lo zen e le arti marziali” Edizioni SE 1977.

 

 

          … per una riflessione più teorica         

                                                                                 Massimo Galiazzo

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