Winnicott “Gioco e realtà “ è un prezioso contributo della psicoanalisi al gioco . Alla ricchezza delle sue riflessioni , questo articolo non rende giustizia e gli echi con altri articoli sul gioco , qui riportati , sono a dir poco sorprendenti. Similitudini e conclusioni convergenti giungono tra questo testo e altre osservazioni della psicoterapia della Gestalt , dell’antropologia del gioco di Huizinga, dei paralleli con Gadamer, della poesia di Zanzotto e della pedagogia.
Il gioco, in Winnicott, non è un elemento periferico alla sua pratica e riflessione psicoanalitica ma centrale e si intreccia ai concetti per lui fondamentali di spazio transizionale, spazio potenziale, luogo poetico dell’essere, fantasticare e sogno, area intermedia tra l’interno e l’esterno…
Proviamo a sviluppare la sua riflessione attraversando il suo libro con frasi significative.
“Il gioco è un’esperienza creativa”
I due elementi esperienza e creazione sono estremamente emblematici : torna l’idea di una esperienza più che di una spiegazione, di un concetto, di una rielaborazione oppure di un sentito. Il gioco è “ un’opportunità di una esperienza informe e di impulsi creativi e motori e sensoriali … e sulla base del gioco viene costruita l’intera esistenza dell’uomo come esperienza … non siamo più introvertiti o estrovertiti “. Torna questo elemento, tipico dell’esperienza, di relazione con l’ambiente in cui esistono sconfinamenti tra interno ed esterno di cui parleremo meglio nel prossimo punto. “ Un’ esperienza che si svolge nel continuum spazio-temporale, una forma fondamentale di vita "(88). Ancora “ giocare vuol dire fare “e il gioco è terapia di suo , come sperimentazione in una nuova esperienza in una situazione specifica “.
“La precarietà del gioco è dovuta al fatto che esso si svolge sempre sulla linea teorica che separa il soggettivo da ciò che è oggettivamente percepito"
Quello che altrove chiama spazio transizionale è quell’ area intermedia e di confine tra il dentro e il fuori, tra l’io e l’ambiente. Una membrana che consente sia elementi di separazione che di fusione: “una forma di unione “più che di rottura. “ Area dell’eccitante sconfinamento della soggettività e della osservazione oggettiva". Per questo è luogo di possibile ritrovamento come di smarrimento che vive in “un paradosso” che “non può essere risolto” e chiede a chi lo frequenta di “ricomporsi - solo - dopo essersi lasciati andare".
Il gioco è “spazio potenziale “per un’appercezione creativa e poetica di sè
La guarigione terapeutica non è revisione di ciò che è passato” fatta con prodotti di rifiuto in una ricerca interminabile ed essenzialmente senza possibilità di riuscita", ma parola poetica su di sé fatta da sé, che apre possibilità inesplorate di azione ed individuazione a seguito di un gioco esperienziale appena condiviso. La terapia in W. è gioco, “ è dare spazio al paziente di giocare “e la sua creatività lo porterà ad autoricrearsi.
“La psicoterapia … due persone che giocano insieme “e insiste “ l’analista è stato sempre troppo occupato a utilizzare il contenuto del gioco, per poter osservare il bambino che gioca” anzi giocarvi insieme.
La parola poetica, che sorge dal gioco, è parola sorgiva di quel caos magmatico che la con- fusione esperienziale ha aperto , quell’ area intermedia “ dell’eccitante sconfinamento della soggettività e della osservazione oggettiva … tra la realtà interiore dell’individuo e la realtà condivisa del mondo che è esterna agli individui”. La membrana si è fatta permeabile con un’esperienza caotica che chiede una nuova forma da ricomporre e l’unico vero compositore di questa forma è il paziente stesso . La forma poetica emerge come figura dallo sfondo in una scelta individuante e agita : “ aveva strato su strato quel senso riferito al passato , al presente e al futuro , al di dentro e al di fuori , è sempre fondamentalmente riferito a sé stessa". Emerge come senso, come forma personale non conforme agli altri e nemmeno all’analista , né paralizzata dall’informe da cui è sorta.
La parola poetica di guarigione , secondo W., in perfetto accordo con un poeta come Zanzotto di paesaggire , rimane fedele ad un segreto paradossale : “Hai concepito tu questo o si è presentato a te dal di fuori ?” Il poeta non si chiede se è il vento a parlare o è lui a mettergli in bocca le parole, semplicemente esprime ciò che dice.
“l’interpretazione fuori dalla compiutezza del materiale è indottrinazione e produce compiacenza … o produce resistenza “
Corollario diretto alla tesi di W. del fatto che la guarigione sia espressione poetica di sé a seguito di un gioco condiviso , è che l’interpretazione dell’analista è “ indottrinazione “ “ e produce compiacenza “ o “resistenza” , sviando il cammino individuante del paziente. “ Il momento significativo è quello in cui … sorprende sé stesso . Non è il momento della mia brillante interpretazione che è significativo” . Anzi il suo intervento fa sì che “la creatività del paziente può essere rubata dal terapeuta” .
Ma allora come accompagnare questo gioco esperienziale? Creando lo spazio per l’esperienza stessa, rispecchiando i vissuti e le emersioni del paziente come una sorta di feedback fenomenologico e con un’interpretazione , che dopo lunghi silenzi da parte del terapeuta, che “non sia fuori dalla compiutezza del materiale “ esperito, quasi una sorta di chiarificazione molto aderente al portato del paziente stesso. In seguito nel libro è ancora più preciso su questa chiarificazione-specchio :
1. il terapeuta mette “insieme appercezione e percezione” di sé del paziente . Questi si descrive in un certo modo e gli viene fornita la percezione che ne ha il terapeuta , il modo in cui è visto.
2. se l’alleanza è buona, il paziente accoglie questa impressione e il modo di essere visto diviene una modalità di esistere e di leggersi creativamente. Quello che era percepito dal terapeuta che faceva da specchio al paziente, ora diviene un modo di vedersi del paziente.
L’immagine restituita dallo specchio del terapeuta diviene immagine di sé del paziente stesso.
“La psicoterapia non consiste nel fare interpretazioni brillanti ed appropriate … è un ridare al paziente … ciò che il paziente porta. E’ una complessa derivazione della faccia che riflette ciò che è là per essere visto” .
“ Giocare vuol dire fare “ e “io rendo concreta la mia idea del gioco pretendendo che il gioco abbia luogo … e abbia un tempo"
Come già abbiamo anticipato, giocare è esperienza e perciò fare. Per cui deve aver un luogo e un tempo preciso e anche l’insight che genera è intimamente legato a quel luogo e a quel tempo: non si ha l’astrazione dell’universale, dell’ogni dove e di qualsiasi tempo.
Questa coscienza situata in un luogo, in un tempo e in un gioco-esperienza è la salute proposta da W.
Ma questo riporta alla necessità di un luogo concreto per il gioco e di una scansione temporale di inizio e fine. Temi molto cari anche all’antropologia del gioco di Huizinga: il gioco ovunque e sempre è la morte di ogni gioco.
D’altro canto non si dà gioco se non nel concreto: ecco perché oggetto di questi articoli è sì il gioco esperienziale , ma in ambiente ( quindi in un luogo particolare).
Se tempo e luogo non sono presidiati dal conduttore il gioco va in “saturazione” perché il mancato contenimento “non contiene più l’esperienza” e l’uscita da esso svuota l’esperienza, anziché uscirne con un senso più significativo del sé. Giochi che non lasciano segni.
Il gioco “è immensamente eccitante “
Il gioco ha una forte componente erotica , tema molto caro alla letteratura psicoanalitica e perciò va indagato nelle relazioni oggettuali della prima infanzia. La sua origine è negli oggetti transizionali, quelli che permettono “l’apertura di uno spazio potenziale tra il bambino e la madre “: i primi oggetti che consentono la prima avventura esplorativa fuori dalla simbiosi con la mamma. La scansione può essere così delineata :
1. bambino e madre sono in fusione simbiotica e se la mamma è “sufficientemente buona “ , anticiperà i bisogni del bambino adattando il mondo a lui/lei
2. ma gli oggetti carichi di desiderio , perché rispondono ai bisogni del bambino, non sempre sono disponibili e nascono le prime frustrazioni, mitigate da una madre che corre in soccorso al manifestarsi del pianto. In questo va e vieni dell’oggetto , il bambino vive il controllo magico sul mondo . Non è più “l’onnipotenza intrapsichica “ ma bisogna costruire un’ alleanza con l’ambiente , in cui il collaboratore magico della mamma rende possibile il sogno. E’ qui che nasce il paradosso del gioco: “nel gioco il bambino manipola i fenomeni esterni al servizio del sogno e investe i fenomeni … prescelti con significato e sentimento di sogno”. Ovviamente sperimenta la “precarietà” di questa magia ma se sufficientemente garantito dalla mamma anche collauda quella fiducia in sé e nell’ambiente che lo inizia alla sua esplorazione , con separazione ed allontanamento dalla simbiosi materna. Questa area magica , di potenziale sull’ambiente , ma anche intermedia in due sensi sia tra interiorità ed esteriorità del bambino sia tra fusione e separazione dalla madre, W. la chiama spazio transizionale . Ecco perché il gioco è eccitante . I primi oggetti che garantiscono questa fiducia di fondo che il sogno si fonderà nell’ambiente sono gli oggetti transizionali , oggetti simbolici , amuleti di forza , ancoraggi ( li chiamerebbe la programmazione neuro-linguistica ) che sigillano simbolicamente le prime scorribande nel mondo ma anche la possibilità di reiterarle . L’oggetto transizionale di W. non è l’oggetto interno della Melanie Klein ( anche se vi sono similitudini) perché mentre quello interno è un concetto, l’oggetto transizionale è reale e deve averlo incontrato , toccato e percepito il bambino oltre che fantasticato internamente. Sia esso un peluche o un lembo del lenzuolo , o… , è esterno al bambino per cui rappresenta il confine della sua onnipotenza , è consolatore dell’angoscia della frustrazione ma conosce anche la precarietà , perciò è amato e odiato.
3. Piano piano il bambino impara a giocare da solo e l’angelo custode materno si interiorizza sempre di più , come presenza anche nell’assenza fisica e come scorta di fiducia sempre presente . Da lì l’oggetto transizionale passa sempre di più nella dimenticanza per consentire sempre più esplorazioni del mondo.
4. La separazione si completa quando il bambino rivendica e dispone giochi anche in modo antagonista alla mamma
W, si occupa di relazioni con l’ambiente e non di pulsioni, come esclude un’attinenza dell’eccitamento del gioco con la masturbazione e poiché vede nel gioco l’antenato dell’arte e della cultura, si discosta nettamente dal leggere la cultura come meccanismo di difesa ( la sublimazione ) per sopravvivere al duello tra principio di piacere e di realtà. Il gioco è naturale quanto le pulsioni .
Questo viaggio nell’infanzia fornisce anche un’ indicazione per una “conduzione sufficientemente buona” del gioco stesso: come la madre sufficientemente buona, anche il terapeuta dovrebbe avere un’accoglienza adattiva del paziente, rispondendo alle sue possibili frustrazioni ma anche esponendolo ad esse. Da notare che dipende dal “ senso di devozione, non dall’abilità o dalla informazione intellettiva “ .
L’ “esperienza culturale - è – estensione dell’idea di fenomeni transizionali e del gioco”
La culla della cultura e delle arti non è secondo W. , come nella topografia mentale di Freud da rintracciare in un meccanismo di difesa ( la sublimazione): è tanto naturale quanto le pulsioni . La sua origine è nei fenomeni transizionali: “ nel luogo in cui la madre è in transizione dall’essere fusa col bambino all’essere vissuta come un oggetto … percepito piuttosto che concepito “. Perciò l’origine della cultura è per W. corporeo ed esperienziale, non astratto da essi. Nasce all’interno della precarietà dello spazio potenziale e perciò è fragile , quindi sopravvive solo in un accadimento adeguato. Esiste una linea diretta tra fenomeni transizionali , gioco, gioco individuale in gruppo e di gruppo per giungere all’esperienza culturale . L’escalation è solo di intensità ma esiste in fieri già ab origine. L’esperienza culturale come senso atto ad integrare in una organizzazione passato, presente e futuro è il medesimo di quella membrana di confine tra interno ed esterno delle esperienze ambientali. Una madre sufficientemente buona fa essere anche l’evento culturale come espressione maieutica ed individuante di sé . Da notare che il gioco è fin da subito sociale e individuale in gruppo nonché di gruppo.
La differenza tra fantasticare e sogno
Ciò che alimenta il fenomeno transizionale, la sua area potenziale e poetica è una sorta di visionarietà naturale dell’essere umano , che si potrebbe semplificare nella parola sogno. Il sogno è la parola poetica che innesca l’esplorazione potenziale dell’ambiente. Il sogno è l’invito all’ingresso nel mondo , “penetra nel mondo reale … e il vivere nel mondo reale penetra nel mondo dei sogni “. “Il gioco creativo è imparentato con il sogno e col vivere ma non appartiene al fantasticare “ . Per W. fantasticare è dissociazione dalla realtà, è un “letto di ospedale psichiatrico, incontinente e inattivo ed immobile e tuttavia ad alimentare nella sua mente un continuo fantasticare in cui veniva mantenuta l’onnipotenza e si poteva raggiungere cose meravigliose in uno stato dissociato “.
Il gioco un ponte con la psicosi
“ I pazienti che hanno una capacità limitata di identificazione introiettiva e proiettiva , presentano serie difficoltà per lo psicoterapeuta che deve necessariamente essere sottoposto a ciò che si chiama “acting out” e ai fenomeni di transfert che hanno base istintuale. In tali casi la principale speranza del terapeuta è di aumentare nel paziente la gamma delle identificazioni crociate, e questo non viene attraverso il lavoro di interpretazione, quanto attraverso certe esperienze specifiche …”. E ancora “ verbalizzazioni di esperienze dell’immediato presente nella consultazione… verbalizzazione del conscio nascente “: quello che sopra abbiamo chiamato lavoro di rispecchiamento. “ Un vasto campo di indagine che appartiene al primo funzionamento, prima che si stabiliscano nell’individuo i meccanismi che danno un senso alla teoria psicoanalitica classica.” Il gioco, in un clima di accoglienza, è “in grado di verbalizzare senza ledere la delicatezza di ciò che è preverbale, non verbalizzato, e non verbalizzabile ad eccezione forse che nella poesia”.
A conferma di questa intuizione di W. porto una citazione da “Residenzialità “ a cura di Massimo Rabboni , dedicato alle comunità psichiatriche :
“ importante strumento del lavoro riabilitativo è il gioco : la connotazione ludica rende infatti ogni attività più accessibile al paziente in quanto, configurandosi come spazio transizionale , consente di entrare in relazione con il mondo esterno che il soggetto psicotico tende a vivere come minaccioso o estraneo.
Ricordiamo soltanto alcune funzioni…:
1. Il gioco realizza illusoriamente un appagamento dei desideri… si può partecipare … pur mantenendo la consapevolezza di stare simulando
2. Il gioco è ricreazione e svago… può essere fine a sé stesso per il piacere che procura
3. Quando diventa gioco sociale … configura una condizione di impegno che costringe , per raggiungere il massimo piacere , al rispetto delle regole. Le regole servono a normare la fantasia , ma non ne occupano lo spazio.
4. …
5. …
6. Il gioco è anche un modo per minimizzare le conseguenze delle proprie azioni, ha una funzione di allenamento delle resistenze e permette di esprimere parti di sé altrimenti inibite e coartate .
7. Consente di apprendere in una situazione di minor rischio : nel gioco si possono sperimentare nuovi comportamenti che nel reale il soggetto non ha il coraggio di esprimere per senso di inadeguatezza e incompetenza, per paura di non riuscire , il gioco inoltre garantisce dalla frustrazione in quanto sdrammatizza e banalizza eventuali insuccessi secondo la logica del stavo giocando.”
Bibliografia:
o Donald W. Winnicott “Gioco e realtà “ Armando Editore 2006 ( edizione originaria Tavistock Pubbblications , London 1971 )
o A cura di Massimo Rabboni “Residenzialità – Luoghi di vita, incontri di sapere “ Franco Angeli 2003
… per una riflessione più teorica Massimo Galiazzo