Ha chiesto una mia consulenza, circa un anno fa’, un ragazzo di 28 anni, che, improvvisamente, da uno stato di benessere si è trovato ad affrontare degli attacchi di panico. Tutto questo è cominciato senza una apparente ragione di fondo o una causa scatenante, circa un paio di mesi prima del nostro incontro.
Si manifestavano all’ improvviso, in qualsiasi momento della giornata, ed erano rappresentati da mancanza di respiro, tachicardia, tremori, sudorazione, accompagnati da un senso irrefrenabile di paura di morire. Già dalle prime 2-3 settimane si è contemporaneamente instaurata la paura che tali episodi si ripresentassero, così che il ragazzo decise di evitare tutte le situazioni che a lui sembrava potessero metterlo in pericolo: non usciva più di casa, chiedeva di essere accompagnato, evitava l’ ambiente lavorativo, non si incontrava più con gli amici e chiedeva sempre la vicinanza della giovane moglie.
Gli attacchi potevano presentarsi anche un paio di volte la settimana, creandogli un crescente senso di paura e di angoscia.
Durante i nostri primi incontri spesso si distraeva dalle cose che stavamo facendo o dicendo perché sentiva la necessità di “mettersi in ascolto” del suo corpo per cercare, eventualmente, di contrastare un attacco che potesse arrivare.
La cosa che emerse fin da subito fu che Davide (questo era il suo nome), dopo il recente matrimonio, aveva molto risentito del distacco dalla famiglia di origine e inoltre era molto stressato dall’ ambiente di lavoro che pur amava: faceva il barista in un Bar molto frequentato della sua città. Si sentiva esageratamente responsabile del buon andamento del lavoro anche se, in realtà, non ricopriva alcun ruolo che lo mettesse in tale condizione.
Fin da subito, probabilmente per il fatto di sapere che c’ era qualcuno che finalmente lo ascoltava e cercava di capirlo, gli attacchi si sono lievemente ridotti nella frequenza, ma certamente questo non poteva bastare.
E’ diventato significativamente più rilevante mettere in luce la sua modalità di voler sempre “fare le cose per bene”, anteponendo gli interessi e il benessere degli altri, al suo. Si accorse che questo atteggiamento lo accompagnava da sempre e cominciare a mettere in atto, nelle piccole cose, atteggiamenti di maggiore attenzione a se stesso e ai propri bisogni , fece ulteriormente diminuire la frequenza degli attacchi. Comunque, l’ idea che questi potessero ripresentarsi in qualsiasi momento, lo terrorizzava. Un giorno, per paradossale fortuna, ebbe un attacco di panico in mia presenza, e questo mi diede modo di condurlo dolcemente nel percorso dell’ auto osservazione, dell’ accettazione dell’ evento e nella constatazione che, anche quella volta, era sopravvissuto “alla catastrofe” .
Tutto questo lo fece perfino sorridere anche se rimaneva forte la presenza della paura.
Gli attacchi erano sensibilmente diminuiti, ma certamente non scomparsi. In uno degli incontri successivi, mentre mi raccontava uno degli episodi, gli chiesi se gli era mai capitato di osservare, almeno una volta, regredire un attacco. Era successo e si ricordò che era stato proprio lui a farlo regredire, contraendo i muscoli delle braccia e delle spalle e successivamente rilassandoli, proprio come aveva molto tempo prima imparato in palestra per rilassarsi.
A quel punto i compiti per casa che gli assegnai furono proprio quelli di utilizzare quella tecnica qualora gli fosse ricapitato un attacco. Funzionò al punto che per due o tre volte di seguito è riuscito a superare alcune crisi e fu così che riacquistò fiducia nelle proprie capacità di far fronte all’ evento.
Arrivò in breve tempo a superare la paura che gli attacchi si ripresentassero, ora che aveva la chiave della “sua soluzione”, e, nel tempo, arrivò a sostenere che il panico era diventato una “noia”. Nel frattempo, durante i nostri incontri, visto che l’ antidoto all’ ansia e al panico era la fisicità, pensai di consolidare i risultati ottenuti attraverso degli esercizi di bio-energetica centrati sul Grounding e sulla respirazione profonda, con lo scopo di ottenere uno scarico di tensione. Assistemmo così alla scomparsa degli attacchi anche se, in qualche occasione, si manifestavano delle tensioni che comunque, con la sua tecnica, riusciva a gestire.
Decidemmo di diradare gli incontri e fare successivamente una seduta di follow-up ogni tre mesi per 2-3 volte, registrando che i risultati si erano stabilizzati .
Conclusioni
In questo caso fu importante agire su tre livelli:
- Sulle cause scatenanti e sugli stressors
- Portarlo alla profonda consapevolezza della non pericolosità del panico e a “gestirlo”
- Agire sulla paura cronica che le crisi si ripetessero